martedì 29 aprile 2014

Eterocromia dell'Iride


L’iride è quella struttura dell’occhio che separa la camera anteriore da quella posteriore e presenta al centro il foro pupillare. L’iride è un diaframma sottile, colorata e presenta variazioni individuali legate alla densità degli strati che la costituiscono: in particolare, il colore è direttamente collegato al numero di melanociti presenti nello stroma irideo ed alla quantità e alla densità del pigmento in essi contenuto. Generalmente il colore è brunastro, con tonalità che vanno dal marrone al giallo oro ed anche al blu, con maggiore varietà nel gatto. Con il termine di eterocromia si intende la caratteristica somatica in cui gli occhi di un individuo presentano due colorazioni diverse.
Quando alcune zone dell’iride dello stesso occhio sono di colore diverso, si parla di eterocromia monoculare; qualora sia l’intera iride di un occhio di colore diverso dal controlaterale, si parla invece di eterocromia bioculare. Di per sé questo fatto non ha significato patologico: essendo la pigmentazione iridea determinata geneticamente, ne deriva che il suo colore è un carattere di tipo ereditario. Per quanto riguarda l’eterocromia determinata dal gene merle, è possibile che essa sia associata ad altre anomalie uveali anteriori, quali ipoplasia dell’iride, colobomi e persistenza della membrana pupillare (PPM). Inoltre, sempre associate al gene merle, si possono osservare altre anomalie oculari multiple, quali macroftalmia, cataratta, displasia retinica ed ipoplasia del nervo ottico. Le razze più interessate sono collie, alani, bassotti e pastori australiani. Le anomalie oculari più gravi si manifestano nei merle omozigoti con mantello eccessivamente bianco che coinvolge le regione della testa. Gli animali affetti possono avere anche gradi variabili di sordità congenita.
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Le Anomalie Ciliari


In questo articolo affronteremo le anomalie ciliari, molto comuni nel cane, mentre si riscontrano raramente nel gatto. In particolare parleremo di distichiasi, ciglio ectopico e trichiasi.
Distichiasi
Con il termine distichiasi s’intende la presenza di ciglia che si sviluppano nelle ghiandole di Meibomio (ghiandole presenti sul margine palpebrale). In alcuni casi, le ciglia sono morbide e galleggiano sul film lacrimale senza causare danno, ma frequentemente la loro presenza si traduce in un cronico stimolo irritativo, con conseguente comparsa di muco, epifora, blefarospasmo, cheratiti superficiali e ulcerative. In alcune razze (ad esempio cocker americano e inglese, bassotto, pechinese, boxer e bulldog inglese) vi è spiccata predisposizione alla distichiasi ed i segni clinici possono comparire precocemente a 4-6 mesi. Nel caso in cui le ciglia procurino disturbi clinici, si procede alla rimozione con diverse tecniche: crioterapia, elettrolisi o rimozione di parte della placca congiuntivale tarsale.
Ciglio ectopico
Si tratta di una o più unità follicolari che originano nelle ghiandole di Meibomio e sboccano nella parte centrale della palpebra superiore, a 3- 5 mm dalla rima palpebrale. Possono determinare intenso dolore e lesioni corneali a carattere ulcerativo. La rimozione chirurgica è semplice, ma richiede una buona fonte d’ingrandimento. Anche la criochirurgia si dimostra efficace. Per questa patologia non sembra esistere una predisposizione di razza.
Trichiasi
Questo termine indica la presenza di peli troppo lunghi del distretto cutaneo palpebrale o delle pliche nasali, che toccando la cornea causano sintomi di fastidio protratto, con epifora, blefarospasmo, cheratite, ecc. La trichiasi della palpebra superiore come quella della zona nasale nei cani brachicefali, può avere una risoluzione chirurgica, consigliata soprattutto nelle forma più gravi.
                                  
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Esami del Sangue: il Fegato

  
Oggi ci occupiamo del fegato e dei parametri utilizzati per valutarne, mediante esami di laboratorio, il corretto funzionamento: transaminasi, fosfatasi alcalina e gamma glutamil transferasi.
Il fegato è un organo multifunzionale con straordinarie capacità compensatorie e, talora, rigenerative: rappresenta un vero e proprio “crocevia” della maggior parte dei processi metabolici che avvengono nell'organismo. Tra i compiti fondamentali svolti dal fegato possiamo annoverare: la sintesi di molte proteine, la regolazione del metabolismo del glucosio e dei lipidi, la degradazione del gruppo EME, la produzione ed il metabolismo dell'acido biliare e , ancora, il metabolismo di molte sostanze estranee tra cui i farmaci.
Esso è costituito da differenti tipi di cellule svolgenti i numerosi compiti richiesti a quest'organo, a cui si aggiunge una complicatissima rete di vasi sanguigni che lo mettono in comunicazione praticamente con tutti gli altri apparati: il tutto è organizzato in vere e proprie unità funzionali. Esiste una correlazione talmente stretta tra la struttura fisica del fegato e la sua funzione che qualsiasi danno derivante da patologie epatiche, ed anche extraepatiche, non causa soltanto alterazioni a livello di test di laboratorio ma anche nell'aspetto istopatologico dell'organo stesso ovvero nella sua morfologia.
 
Alla luce di quanto appena detto, coi test di laboratorio andiamo a vedere due tipi di enzimi epatici: quelli che indicano se c'è un problema di tipo “strutturale” ovvero le transaminasi e quelli che segnalano un “malfunzionamento” del fegato, la fosfatasi alcalina e la gamma glutamil transferasi.
Ci sono due tipi di transaminasi: l'alanina transferasi (ALT o GPT) e l'aspartato amino transferasi (AST o GOT). L' ALT deriva da un processo di deaminazione degli aminoacidi ed è presente prevalentemente all'interno del citoplasma degli epatociti: per questa ragione è un ottimo marker di integrità morfologica del fegato. Una qualsiasi alterazione della membrana di queste cellule conseguente a danno, attività rigenerativa, riparativa o disturbi metabolici, provoca un rilascio di GPT nel circolo sanguigno. L'entità dell'aumento di questo enzima è proporzionale al numero di epatociti colpiti. L'aspartato amino transferasi si trova abbondante anche in altri siti, oltre al fegato, quali il muscolo striato sia scheletrico che cardiaco. Un aumento di AST nel sangue, pertanto, può essere dovuto anche ad un danno a livello muscolare, ma se si ha un contemporaneo innalzamento dell'ALT, allora ci si indirizza verso il fegato. Il fatto che aumentino entrambe le transaminasi è segno di danno più grave a livello di struttura epatica: l'AST, infatti, si trova più “in profondità” rispetto all'ALT, nei mitocondri delle cellule, quindi per liberarla occorre un danneggiamento di maggiore entità.
 
La fosfatasi alcalina (ALP) e la gamma glutamil transferasi (GGT) sono due enzimi utilizzati per valutare la funzionalità epatica. L'ALP è sita a livello di membrana canalicolare, la GGT è associata alle cellule epiteliali costituenti il sistema di dotti biliari intrinseco al fegato. L'attività della fosfatasi è localizzata principalmente a livello epatico, nei tubuli renali, nell'intestino e nelle ossa. La frazione epatica tende ad aumentare nel sangue quando c'è alterazione del flusso biliare (malattie epatobiliari colestatiche) perché si ha ritenzione di bile che determina un aumento della permeabilità della membrana epatocitaria. Esistono anche farmaci che provocano, soprattutto nel cane, un rialzo di fosfatasi alcalina nel sangue quali i glucocorticoidi e gli anticonvulsivanti. Nel gatto l'ipertiroidismo determina spesso un aumento degli enzimi epatici nel sangue. La GGT è localizzata a livello di membrana in numerosi tessuti, comprese le cellule epiteliali epatiche. Il suo rialzo nel sangue avviene in condizioni analoghe a quelle dell'ALP (malattie colestatiche e farmaci). Di solito, però, l'aumento della sua attività è comunque minore rispetto a quello della fosfatasi alcalina e decisamente più lento; quando si rilevano elevati livelli di entrambi, si può sospettare un danno funzionale maggiore e, probabilmente, una patologia cronica.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello

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Necrosi Asettica Testa del Femore


Abbiamo già trattato in passato la Necrosi asettica della testa del femore in un articolo del 2009, oggi vogliamo approfondire quelli che sono gli aspetti genetici ed il controllo ai fini della riproduzione.
In Italia le centrali di lettura per la displasia dell’anca (FSA e CeLeMaSche) sono anche accreditate per la certificazione della necrosi asettica della testa del femore. I veterinari autorizzati dalle centrali di lettura possono eseguire le indagini radiografiche ed emettere la diagnosi di “affetto” o “esente”. 

 
Il protocollo prevede l’esecuzione di una radiografia del bacino in proiezione ventrodorsale standard (VD1). Il cane sottoposto ad esame deve essere identificato e i suoi dati corrispondere a quelli del pedigree: microchip e proprietario.
La radiografia viene eseguita con il cane in “sedazione” come per la displasia dell’anca, la posizione va controllata attentamente in modo da avere i femori ben distesi e paralleli tra di loro e alla colonna vertebrale, il bacino deve essere simmetrico e le rotule al centro dei condili omerali.
La diagnosi viene emessa subito dopo l’esecuzione della radiografia.
Per l’ufficializzazione dell’esame è necessario inviare l’apposita modulistica alla centrale che controlla i documenti, li registra e poi invia una copia del referto al proprietario del cane, una copia all’ENCI, una al club di razza ed una al veterinario esecutore. 

La certificazione può essere richiesta da chiunque possegga un cane ed abbia intenzione di farlo riprodurre, è fondamentale per chi vuole allevare anche solo a livello amatoriale.
Esistono delle razze in cui è fortemente indicata l’esecuzione dell’indagine:


BARBONE TOY 


CARLINO 


YORKSHIRE TERRIER 

E ci sono razze in cui è indicata l’esecuzione:


WEST HIGHLAND WHITE TERRIER 


CAIRN TERRIER 


BOSTON TERRIER 


FOX TERRIER


JACK RUSSEL TERRIER 


CHIHUAHUA 


BARBONE NANO 


LHASA APSO 


PINSCHER 


AUSTRALIAN TERRIER 


BASSOTTO 


BICHON  FRISÈ 


COCKER SPANIEL 


LAKELAND TERRIER 


PICCOLO LEVRIERO ITALIANO 


VOLPINO DI POMERANIA 


SCOTTISH TERRIER 


PECHINESE 


MALTESE 


SCHNAUZER NANO 


Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello

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Esami del Sangue: Sodio e Potassio

Oggi iniziamo ad analizzare i singoli elettroliti, che ritroviamo nei più comuni profili biochimici, partendo da: sodio e potassio.
Il sodio (Na+) è il catione più rappresentato nel fluido extracellulare (ECF), mentre il potassio (K+) è maggiormente presente nel comparto intracellulare (ICF). Parlando in termini quantitativi abbiamo mediamente: 140 mEq/L di Na+ e 4 mEq/L di K+ nell'ECF e, all'opposto, 10 mEq/L di Na+ e 140 mEq/L di K+ nell'ICF.
Il volume e la tonicità (movimento tra i compartimenti) dei fluidi corporei dipendono in gran parte dall'equilibrio tra acqua e sodio. In questo un ruolo cruciale lo giocano i reni in grado di regolare l'introduzione e l'escrezione tanto di acqua quanto di sali dal corpo e di garantirne una riserva adeguata quando, per qualche motivo, il loro apporto è ridotto. Il Na+ , inoltre, essendo il catione maggiormente presente nel compartimento extracellulare, è responsabile del mantenimento dell' elettroneutralità tra i vari ioni: la somma delle cariche di tutte le particelle presenti nell'ECF e nell'ICF deve essere zero ovvero neutra.
L'aumento di concentrazione del sodio nel plasma viene definito: ipernatremia e può avvenire o per perdita eccessiva di acqua o per ritenzione anormale del sodio stesso. Tra le cause di ipernatremia si possono annoverare: perdite gastroenteriche di acqua (da vomito e diarrea), ingestione inadeguata della stessa (deprivazione), aumentata perdita di fluidi (febbre, ustioni gravi, colpi di calore), diabete, insufficienza renale cronica, eccessiva ingestione di sale o somministrazione di soluzioni saline intravenose ,utilizzo di diuretici e iperaldosteronismo. La presenza di un eccesso di sodio nell'ECF provoca un richiamo di fluidi dal comparto intracellulare con gravi conseguenze biochimiche.
All'opposto, la riduzione della concentrazione di Na+ viene definita iponatremia. Questa condizione non da segni clinici evidenti finché la perdita non diviene cospicua (meno di 125mmol/L) con segni anche molto pericolosi tra cui l'edema cerebrale. Cause di iponatremia sono: un'eccessiva sudorazione, l'iperglicemia, problemi renali con perdita di sali, sequestro di fluidi in compartimenti non appropriati (rottura della vescica, peritoniti, pancreatiti), insufficienza cardiaca congestizia con edema, eccesso di diuretici, polidipsia (eccessiva assunzione di acqua) e eccesso di ormone antidiuretico.
Il potassio (K+) , come già accennato, è presente principalmente a livello cellulare ed mantenuto in tale posizione da un meccanismo chiamato “pompa sodio-potassio” che garantisce la permanenza dei due cationi nei comparti di competenza. Il K+ viene introdotto nell'organismo attraverso il cibo ed eliminato prevalentemente grazie ai reni ed in misura minore col sudore e le feci.
La riduzione della normale concentrazione di potassio è definita ipocalemia e tale condizione può derivare da varie cause: riduzione della normale ingestione,perdita gastro enterica (vomito e/o diarrea), insufficienza renale cronica, somministrazione endovenosa di fluidi contenenti potassio che alterano l'equilibrio Na+-K+, eccesso di diuretici, aumento di aldosterone (responsabile dell'escrezione renale di K+), acidosi tubulare renale e, ancora, diabete mellito tratto con insulina.
L'ipercalemia, ovvero l'aumento di K+ rispetto al normale range, è imputabile a carenza di aldosterone, ostruzione a livello di uretra, patologie renali che riducono la diuresi e acidosi metabolica. L'organo che maggiormente risente dell'alterazione nella concentrazione di K+ è il cuore: l'ipercalemia provoca bradicardia, blocco atriale e fuga ventricolare, mentre l'ipocalemia può predisporre a tachiaritmie.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Dr.Borgarello
 
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Esami del Sangue: Profilo Biochimico

Dopo esserci dedicati alle cellule e alla loro analisi, apriamo un nuovo capitolo riguardante i test inerenti la parte liquida del sangue: il plasma.
Il plasma è composto principalmente di acqua all'interno della quale vengono trasportate numerose sostanze di differente origine e funzione quali proteine, sali inorganici, lipidi, carboidrati, ormoni e vitamine. In laboratorio si ottiene ponendo il sangue appena prelevato in una provetta con anticoagulante; questa viene successivamente centrifugata con appositi macchinari in maniera tale da provocare la separazione, per eliminazione, della componente cellulare da quella fluida. In realtà la maggior parte dei test biochimici eseguibili sul sangue utilizzano oltre al plasma, il cosiddetto siero: questo altro non è che plasma privato di una proteina chiamata fibrinogeno persa durante un processo di coagulazione spontanea favorita dall'utilizzo di provette senza anticoagulante. L'assenza di questa proteina rende la concentrazione proteica del plasma superiore di circa 0,2-0,5g/dl rispetto a quella del siero.
 
Vista la straordinaria varietà di sostanze veicolate dal sangue, si può ben comprendere come esso funga da vero e proprio “specchio” del buon o cattivo funzionamento del nostro organismo. Tutto ciò che viene “prodotto”, trasformato o eliminato da ogni parte del corpo, passa invariabilmente attraverso il circolo ematico o ne determina variazioni significative. Nel momento in cui scelgo di analizzare il plasma e/o siero, non mi limito pertanto a osservare il sangue, ma tramite esso vado a guardare come “lavorano” organi, apparati, ghiandole e diverse aree del corpo. Ecco perché si parla spesso di “profili chimici d'organo”: significa analizzare una serie di sostanze scelte e ricavabili dal siero che, messe insieme e organizzate in pannelli, ci “raccontano” se ci sono problemi, ad esempio, a livello di rene, fegato, intestino e via dicendo.
Esistono, come già visto per le cellule del sangue, dei range (intervalli) di normalità per ogni sostanza analizzabile: proteine, lipidi, carboidrati, ormoni, vitamine e sali inorganici. Questi valori sono influenzati innanzitutto dalla specie di appartenenza, talvolta dal sesso, spesso dall'età: ogni variazione che porti il valore di un' analita fuori dalla scala di normalità, deve mettere in guardia sull'esistenza di una patologia in corso. Il “dove sta il problema” dipende da “cosa” siamo andati a testare.
 
In linea generale esiste un cosiddetto “profilo chimico di base” che viene eseguito ogni qualvolta si preleva il sangue da un paziente; salvo lievi variazioni tra un laboratorio e l'altro, i parametri indagati in esso sono:
  • proteine totali
  • albumina: proteina
  • creatinina: prodotto di degradazione della creatina (proteina), indice di funzionalità renale
  • urea e/o BUN (azoto ureico ematico): indice di funzionalità renale
  • fosfatasi alcalina (ALP) e gamma-glutamil transferasi (GGT): enzimi epatici
  • alanina aminotranferasi (ALT o GPT) e aspartato aminotransferasi (AST o GOT): enzimi epatici
  • Glucosio: zucchero
  • sali inorganici: calcio, fosforo, sodio, potassio, cloro, magnesio
Dal prossimo articolo inizieremo ad analizzare nel dettaglio i parametri sopraelencati, per scoprire che cosa ci raccontano e perché bisogna indagarli.
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Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello
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Esami del Sangue: gli Elettroliti

Oggi il percorso riguardante gli esami biochimici ci porta a parlare di elettroliti.
Si definisce elettrolita ogni sostanza in grado di dissociarsi in ioni una volta  disciolta in acqua o altro solvente. Gli ioni, a loro volta, sono atomi o gruppi atomici aventi una “carica”, detti cationi quando questa è positiva e anioni se negativa.
Per comprenderne il significato e le funzioni, va innanzitutto premesso che circa il 60% del peso corporeo di un individuo adulto è composto da acqua e di questa ben il 40% si trova in sede intracellulare (ICF), mentre il restante 20% è extracellulare (ECF): 5% rappresentato dal compartimento vascolare e 15% dal cosiddetto interstizio ovvero lo spazio intorno alle cellule. Nell'acqua sono disciolte delle sostanze, i soluti, che occupano un loro ben preciso spazio o volume di distribuzione: tra essi annoveriamo gli elettroliti. In condizioni normali questi si distribuiscono tra i vari compartimenti in maniera tale da mantenere un equilibrio vitale, la cosiddetta omeostasi. Molte patologie interferiscono con tale meccanismo arrivando a compromettere, spesso in maniera grave, la normale commistione tra acqua ed elettroliti e, di conseguenza, la composizione dei vari compartimenti fluidi dell'organismo.
La concentrazione dei soluti nei vari compartimenti varia al variare della permeabilità delle barriere frapposte tra essi  ad esempio: l'endotelio vascolare è relativamente impermeabile alle cellule e alle proteine plasmatiche , che per tale ragione rimangono all'interno del sangue, mentre lascia passare liberamente i soluti ionici, tanto che la loro concentrazione nel plasma e a livello interstiziale è praticamente la stessa. Le membrane cellulari, invece, sono più selettive e fanno si che esista una differente distribuzione di cationi e anioni tra il compartimento intracellulare ed extracellulare. Nonostante questa diversa composizione però esiste, o meglio, dovrebbe esistere sempre una condizione di elettroneutralità (le cariche totali si annullano) tra l'ICF e L'ECF.
 
Quali sono allora gli elettroliti?. Il sodio (Na+) è il catione principale presente nel fluido extracellulare, mentre il potassio (K+) è l'analogo per il fluido intracellulare: circa il 98% del potassio corporeo è contenuto all'interno delle cellule. L'anione maggiormente presente a livello dell' ICF è il fosfato (H2PO4 -), il cloro (Cl-) ed i bicarbonati (HCO3-) quelli del compartimento extracellulare. Non vanno poi dimenticati il magnesio (Mg+) ed il calcio (Ca2+).
Il contenuto di acqua nel plasma e l'omeostasi degli elettroliti vengono coordinati principalmente dal lavoro integrato di organi endocrini, sistema nervoso e reni. I tubuli renali rispondono a stimoli neurormonali riassorbendo sodio e acqua ed eliminando il potassio. I tubuli prossimali riassorbono il sodio; quelli distali risentono dell'azione dell'aldosterone aumentando lo scambio sodio-potassio in modo da aumentare la ritenzione del primo e l'escrezione del secondo.
 
Nei prossimi articoli parleremo più nel dettaglio dei singoli elettroliti, delle loro funzioni e del perché è importante valutarne la concentrazione in corso di numerosi processi patologici.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello
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Esami del Sangue: il Fosforo

Oggi il nostro percorso sugli elettroliti è incentrato sul fosforo, in particolare nella sua forma inorganica di fosfato.
 
Il fosforo svolge un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la struttura che le funzioni della cellula: esso va a costituire i fosfolipidi delle membrane cellulari, l'idrossiapatite dell'osso, entra nella composizione degli acidi nucleici e delle fosfoproteine coinvolte nella fosforilazione ossidativa mitocondriale, processo “vitale” per qualsiasi cellula. E ancora: rappresenta, in forma di ATP, il “magazzino energetico” per eccellenza in processi fondamentali quali la contrazione muscolare, la conduzione nervosa, il trasporto a livello epiteliale. Esso svolge inoltre il ruolo di intermediario nel metabolismo delle proteine, dei lipidi, dei carboidrati oltre a rientrare nella composizione del glicogeno.
 
Il fosforo è presente nell'organismo sia in forma organica (fosfolipidi ed esteri fosforici) che inorganica (acidi orto e pirofosforico): circa l'80-85% è rappresentato dall'idrossiapatite delle ossa, sua forma inorganica. Il restante 15% è contenuto in forma organica nei tessuti molli, soprattutto i muscoli, ma può essere convertito in forma inorganica all'occorrenza. Nel siero, in realtà, si va ad analizzare non il fosforo totale dell'organismo bensì il fosfato che è l'anione quantitativamente più numeroso a livello intracellulare (nel compartimento extracellulare c'è soltanto l' 1% del fosforo totale).
 
IL fosforo viene assunto attraverso la dieta ed è importante mantenerne il giusto bilancio. Questi è poi assorbito a livello intestinale secondo due processi: il primo e prioritario è di tipo “passivo”, mentre la via di assorbimento “attiva”, per così dire secondaria, dipende dalla concentrazione di sodio che fa' da trasportatore ed è mediata dal calcitriolo, forma attiva della vitamina D3. E' importante sapere che un eccessivo apporto di calcio dall'esterno può ostacolare l'assorbimento del fosforo a livello enterico perché i due formano complessi non assimilabili dall'intestino, da cui deriva l'importanza capitale di fornire questi due minerali in maniera molto ben bilanciata, soprattutto nel periodo dell'accrescimento. A livello renale, infine, si ha prima una filtrazione poi un riassorbimento del fosfato in maniera tale da mantenere il bilancio tra anioni e cationi neutro o zero.
 
La diminuzione di fosfato sierico viene definita ipofosfatemia e può verificarsi, almeno inizialmente, senza che si abbia una vera e propria riduzione del fosforo totale presente nel corpo. I meccanismi che portano ad ipofosfatemia possono dipendere o da un alterata distribuzione intra ed extracellulare del fosfato o da un cattivo assorbimento a livello intestinale o da un aumento di perdita a livello renale. Tra le patologie più frequenti associate ad ipofosfatemia annoveriamo: l'iperparatiroidismo primario, l'ipercalcemia associata a neoplasia, la mancanza di calcio nella dieta, l'ipovitaminosi D,il diabete mellito e la chetoacidosi diabetica, l'alcalosi respiratoria correlata ad iperventilazione, l'iperadrenocorticismo, l'eclampsia e il malassorbimento o il digiuno.
 
L'iperfosfatemia è invece una condizione di aumentata concentrazione sierica del fosforo: le principali conseguenze cliniche sono l'ipocalcemia, che a sua volta può causare il tetano , e la mineralizzazione dei tessuti molli. Se l’innalzamento si verifica in un soggetto che ha contemporaneamente valori di calcio sopra la norma, si può addirittura arrivare ad una calcificazione acuta di numerosi organi, compresi cuore e polmoni, con risultati fatali. Un'altra gravissima conseguenza di iperfosfatemia è rappresentata dall'insufficienza renale acuta dovuta agli effetti tossici del fosforo in eccesso sui tubuli renali. Il fosforo può aumentare oltre i valori limite per un'alterata distribuzione tra il comparto intra ed extracellulare (lisi cellulare tumorale, traumi ai tessuti molli o rabdomiolisi, emolisi, acidosi metabolica) o per un aumento di apporto dall'esterno (intossicazione da vitamina D, eccessiva somministrazione endovenosa di fosfato) o per una riduzione della sua escrezione (insufficienza renale acuta e cronica, uroaddome (urina libera in addome) o ostruzioni uretrali, ipoparatiroidismo, ipertiroidismo). C'è solo una condizione “fisiologica” in cui il fosforo è più alto della norma ma non crea danni ed è durante l'accrescimento.
Nel prossimo articolo chiuderemo il capitolo elettroliti parlando di magnesio e cloro.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Dr.Borgarello

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Esami del Sangue: il Calcio

Oggi parliamo del calcio, noto ai più solo come componente dello scheletro, mentre nella realtà dei fatti risulta un elettrolita estremamente “eclettico” e di vitale importanza.
Il calcio (Ca2+o iCa) è necessario all'organismo per lo svolgimento di numerose e fondamentali funzioni. Esso interviene in reazioni enzimatiche, nel trasporto e nel mantenimento della stabilità delle membrane cellulari, nella coagulazione del sangue, nella conduzione nervosa, nella trasmissione neuromuscolare, nella contrazione muscolare, nel mantenimento del tono della muscolatura liscia, nella formazione e nel riassorbimento osseo, nel controllo del metabolismo epatico del glicogeno e, ancora, nella crescita e divisione cellulare.
 
A livello di cellula, il iCa  funge da principale modulatore della risposta a molti agonisti ed è, a tutti gli effetti, una sorta di “messaggero ionico universale”, convogliando i segnali ricevuti dall'esterno all'interno delle cellule. Per quanto riguarda lo spazio extracellulare, invece, il calcio in esso presente regola molte funzioni cellulari di diversi organi tra cui le ghiandole paratiroidi, i reni e la tiroide.
 
La regolazione dell'omeostasi del calcio è il risultato dell'azione congiunta dell'ormone paratiroideo (PTH), della vitamina D e della calcitonina mentre l'osso, il piccolo intestino ed i reni sono i tre organi principali di controllo. La maggior riserva di calcio nell'organismo è ovviamente rappresentata dallo scheletro (99%); ma è la restante parte, distribuita tra plasma e nei fluidi extracellulari secondo range molto stretti, quella di più immediato utilizzo. Circa il 50% del calcio ionizzato (Ca2+) ovvero la frazione “biologicamente attiva” responsabile di così tante funzioni, è legato all'albumina, proteina di origine epatica,
 
L'aumento della concentrazione di calcio nel plasma viene definito ipercalcemia e, per quanto sia abbastanza infrequente nel cane e nel gatto, può significare o l'esistenza di una patologia sottostante o causare, di per sé, una malattia. L'eccesso di calcio è una condizione “tossica” per le cellule causando alterazioni di membrana e malfunzionamento della pompa del calcio stesso responsabile di molti scambi tra interno ed esterno. In ultimo “troppo calcio” cellulare porta alla morte della cellula stessa. Gli organi e tessuti che risentono maggiormente dei danni da ipercalcemia sono: il gastroenterico, il sistema nervoso, il cuore ed i reni. I più comuni segni clinici derivanti sono: anoressia, disidratazione,letargia, debolezza, vomito, insufficienza renale cronica.
 
La riduzione del calcio nel plasma, all'opposto, si definisce ipocalcemia ed è una condizione più frequente della precedente. Se la diminuzione è lieve, possono non esserci segni visibili, in ogni caso la maggior parte sono ascrivibili al fatto che la bassa concentrazione di calcio tende ad aumentare l'eccitabilità neuromuscolare. I sintomi maggiormente riscontrati, indipendentemente dalla causa di abbassamento, sono: tremori muscolari o fascicolazioni, strofinamento del muso, spasmi muscolari, andatura rigida e alterazioni comportamentali quali remissività o eccitazione, aggressività, ipersensibilità agli stimoli e disorientamento.
Nel prossimo capitolo dedicato agli elettroliti ci occuperemo del fosforo, elettrolità strettamente correlato al calcio .
Articolo a cura della  Clinica Veterinaria Dr.Borgarello.
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Esami del Sangue: il Glucosio

Riprendiamo oggi il nostro percorso attraverso gli esami biochimici parlando della misurazione del contenuto di glucosio nel sangue ovvero di glicemia.
 
Il glucosio è un monosaccaride cioè uno zucchero che non può essere idrolizzato in un carboidrato più semplice, anzi: la maggior parte degli zuccheri complessi presenti nell'alimentazione viene scissa e ridotta proprio in glucosio e in altri glucidi semplici.
 
Esso possiede una enorme importanza biologica perché rappresenta la principale fonte di energia dell'organismo. A livello cellulare avviene un processo chiamato glicolisi responsabile della trasformazione del glucosio in molecole più semplici e della produzione di energia sotto forma di adenosina trifosfato (ATP). L'ATP rappresenta un vero e proprio “combustibile” che consente alle cellule di svolgere le numerose funzioni a cui sono destinate.
 
Da quanto detto, si capisce l'importanza fondamentale di questo zucchero per la sopravvivenza di ciascuno e il perché la glicemia rappresenti un parametro presente in qualsiasi pannello biochimico. La misurazione del glucosio plasmatico può essere fatta sia attraverso uno strumento specifico chiamato glucometro che con le normali macchine per esami mediante chimica liquida o secca.


La corretta concentrazione del glucosio nel sangue è regolata dall'interazione tra lo zucchero introdotto con la dieta, le riserve presenti a livello del fegato e gli ormoni preposti all'utilizzo del glucosio stesso: insulina e glucagone. Il fegato è in grado di rilasciare il monosaccaride mediante due processi: la glicogenolisi, che mette in gioco le riserve di zucchero precedentemente immagazzinate a livello epatico e la gluconeogenesi in grado di produrre “ex novo” glucosio a partire da acidi grassi e aminoacidi. L'insulina, prodotta dalle cellule beta del pancreas, è il principale ormone regolatore del glucosio nel sangue: quando questo aumenta l'insulina viene rilasciata e favorisce la sua captazione a livello cellulare, con conseguente riduzione a livello ematico, e viceversa. Un altro ormone pancreatico, il glucagone agisce promuovendo il rilascio di glucosio nel sangue attraverso la glicogenolisi epatica.
 
L'innalzamento della concentrazione ematica di glucosio viene definito: iperglicemia. L'insulina, come accennato, è un ormone che facilita il metabolismo del glucosio a livello di muscoli, tessuto adiposo e fegato: la sua carenza, in concomitanza con il rilascio di glucagone, porta a iperglicemia. Quando lo zucchero raggiunge una concentrazione molto elevata nel sangue, inizia ad essere perso attraverso le urine e questo processo viene chiamato: glicosuria. La condizione patologica per eccellenza dovuta ad uno stato cronico di iperglicemia è definita: diabete.
­All'opposto l'abbassamento dei livelli ematici di glucosio si chiama ipoglicemia. Una causa frequente e patologica di ipoglicemia è rappresentata da tumori delle cellule beta pancreatiche che determinano un eccesso di insulina nel sangue (neoplasie insulino-secernenti).
Nel prossimo capitolo affronteremo il discorso degli elettroliti ovvero i sali disciolti nel sangue e le ragioni per le quali è importante controllarli. Continuate a seguirci su tgvet.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello   

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L’anemia Emolitica Neonatale



L’anemia emolitica neonatale nel gattino e nel cucciolo è una patologia che si manifesta nel neonato in seguito ad una incompatibilità di gruppi sanguigni materno-fetali.
L’immunizzazione della madre contro il gruppo sanguigno di uno o più feti determina la produzione di anticorpi. Questi ultimi vengono trasferiti al neonato tramite il colostro nelle prime 12-18/h di vita. Le conseguenze possono essere letali in quanto queste immunoglobuline sono in grado di agglomerare e lisare i globuli rossi del neonato determinando una grave emolisi intra ed extravascolare. 
Questa grave patologia si riscontra con maggior frequenza nel gattino rispetto al cucciolo e si può verificare già al primo parto in assenza di una sensibilizzazione materna preliminare.
L’evento scatenante è legato al gruppo sanguigno materno. Si ricorda che nel gatto è stato descritto un unico sistema di gruppi sanguigni che riunisce due antigeni, espressi sia da soli sia in combinazione: tipo A, tipo B e tipo AB.
Solo un terzo di gatti di gruppo A possiede anticorpi anti-B che hanno uno scarso potere immunogeno. Al contrario tutti i gatti appartenenti al gruppo B possiedono anticorpi anti-A a titolo elevato e ad alto potere immunogeno.
 
La patologia in questione è stata osservata solo nel caso di accoppiamenti tra madre di gruppo sanguigno B e padre di gruppo sanguigno A. Da questa unione nasceranno gattini di gruppo A o AB che assumeranno anticorpi anti-A dalla madre tramite il colostro. Questi anticorpi una volta raggiunto il circolo dopo l’assorbimento intestinale determineranno la distruzione dei globuli rossi neonatali con conseguenze drammatiche.
La prevalenza di gatti con gruppo B è rappresentata nella figura sottostante.
anemia-emolitica-del-neonato
Per quanto riguarda il cucciolo la patologia è meno frequente. Innanzitutto perché la patologia si manifesti occorre una preliminare sensibilizzazione della femmina. La sensibilizzazione avviene durante una trasfusione di sangue da donatore con gruppo differente dalla ricevente. Questo determina quindi la formazione di anticorpi contro quello specifico gruppo sanguigno estraneo.
La patologia può manifestarsi nel cucciolo quando la madre trasfusa precedentemente viene fatta accoppiare con un maschio appartenente allo stesso gruppo del donatore. Le modalità di insorgenza sono le stesse già viste per il gattino.
La gravità della sintomatologia è proporzionale alla velocità d’insorgenza. Tutto dipende dalla quantità di anticorpi fabbricati dalla madre che passa nel latte ed è assorbita a livello intestinale dai cuccioli (per l’assorbimento occorrono da 36 a 72 ore).
Più il tasso anticorpale è alto e più in fretta la malattia porterà alla morte del cucciolo, più il tasso anticorpale è basso più i cuccioli avranno possibilità di superare la crisi.         
 
Si riconoscono tre forme suddivise in base alla velocità di insorgenza e alla gravità della patologia.
Forma iperacuta: morte dei nascituri nei primi istanti di vita senza sintomi apparenti.
Forma acuta: si riconoscono tra i sintomi debolezza, incapacità di attaccamento alla mammella, anoressia, deperimento, emoglobinuria, ittero, necrosi della punta della coda, necrosi delle estremità.
Forma subacuta: a volte l’unico sintomo in questa forma è la necrosi della punta della coda e la maggior parte dei nascituri sopravvive.
La diagnosi viene fatta in base ai sintomi nel gattino, sospetto per razze predisposte, miglioramento delle condizioni del gattino dopo allontanamento dalla madre, determinazione del gruppo sanguigno dei riproduttori, autopsia (spleno-epatomegalia, ittero).
Il trattamento prevede l’allontanamento dei nascituri dalla madre e la somministrazione di latte artificiale o l’adozione da parte di una balia.
Dopo circa 48 ore i neonati si possono ricongiungere con la madre poiché l’assorbimento di anticorpi tramite l’intestino non può più avvenire a causa di una drastica modificazione di permeabilità della mucosa intestinale.
In via preventiva bisogna sempre conoscere il gruppo sanguigno della madre.
Se appartenente al gruppo A o AB non ci saranno rischi.
Se appartenente al gruppo B bisognerà farla accoppiare con riproduttori appartenenti al gruppo B.
Se l’accoppiamento tra femmina di gruppo B e maschio di gruppo A o AB vuole essere ugualmente realizzato, bisogna evitare che i cuccioli prendano il latte dalla madre, almeno per i primi tre o quattro giorni, dandoli a balia a una femmina di gruppo A o utilizzando l’allattamento artificiale.
In conclusione possiamo capire quanto sia importante determinare il gruppo sanguigno di due riproduttori, soprattutto se di razza predisposta, giacchè gli anticorpi presenti nel colostro materno potrebbero scatenare l’insorgenza della malattia emolitica nei nascituri.

A cura della dott.ssa Clinica Veterinaria Borgarello    
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Esami del Sangue: Magnesio e Cloro

Oggi concludiamo il percorso dedicato agli elettroliti parlando di: magnesio (Mg2+ ) e cloro (Cl-).
Il magnesio rappresenta, dopo il potassio, l'elemento minerale maggiormente presente nei tessuti molli e a livello intracellulare. Soltanto l'1% della sua quantità totale è presente nel siero e, come il calcio, la forma fisiologicamente attiva è quella ionizzata. I normali esami biochimici,però, valutano la concentrazione nel sangue soprattutto nella forma totale, non ionizzata: questo tipo di rappresentazione del magnesio non riflette, purtroppo, in modo accurato il suo reale stato in relazione a certe manifestazioni cliniche. Al di là delle variazioni tra i vari laboratori, mediamente il range fisiologico del Mg2+ è: 0,59-0.86 mmol/l nel cane e 0,74-1,20 mmol/l nel gatto.
 
Il magnesio viene introdotto nell'organismo con la dieta e immagazzinato soprattutto nelle ossa ma, a differenza del calcio, negli stati carenziali non subisce una rapida mobilitazione. Nella sua forma extracellulare crea complessi con anioni(fosfato, citrato, solfato). I meccanismi che regolano la sua omeostasi non sono ancora stati chiariti del tutto: il suo assorbimento avviene a livello intestinale e la sua escrezione è renale.
Il magnesio è un importante co-fattore per il funzionamento della pompa sodio-potassio il che lo rende cruciale nella corretta distribuzione dei due cationi tra sede intra ed extracellulare. Esso è inoltre implicato nella contrazione muscolare, nella stabilità delle membrane cellulari mitocondriali e nella fosforilazione ossidativa. I sintomi clinici più frequenti legati ad un alterazione della concentrazione di magnesio Mg2+sono soprattutto di tipo cardiocircolatorio (soprattutto aritmie) e neuromuscolare (debolezza muscolare, fascicolazioni, atassia, convulsioni). La condizione di elevata concentrazione di magnesio ovvero l'ipermagnesemia è piuttosto rara; i segni clinici sopra descritti, infatti, si riferiscono ad una situazione di ipomagniesemia cioè il suo abbassamento.
 
Il cloro rappresenta l'anione più abbondante del plasma e del liquido extra-cellulare ed è anche quello maggiormente filtrato e riassorbito dai glomeruli renali. Esso è in grado di bilanciare due terzi del sodio totale in esso presente: insieme Cl- e Na+ costituiscono il 90% dei soluti presenti nell'ECF. La sua concentrazione plasmatica media è di 100mEq/l nel cane e 120mEq/l nel gatto.
Le sedi che ne contengono di più, oltre ai reni, sono lo stomaco e l'intestino. La sua presenza a livello intracellulare,invece, è decisamente ridotta e ciò è dovuto al potenziale di membrana a riposo delle cellule: l'unica eccezione sono gli eritrociti che, a causa proprio del loro particolare potenziale di membrana, permettono agevolmente l'entrata e l'uscita degli ioni Cl-.
Il cloro svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'equilibrio acido-base nell'organismo pertanto le variazioni di tale anione risultano fondamentali in corso di patologie quali l'alcalosi metabolica (in cui ha una relazione inversa coi bicarbonati), acidosi metabolica e acidosi respiratoria cronica.
 
L'aumento della concentrazione plasmatica di Cl- viene definito ipercloremia e può verificarsi per eccessiva perdita d'acqua in seguito a diarrea con conseguente perdita di sodio e bicarbonati, per acidosi renale tubulare, per ritenzione renale di Cl- e ancora in corso di insufficienza renale, diabete mellito, ipoadrenocorticismo, alcalosi respiratoria cronica, eccessivo apporto dall'esterno o a causa di alcuni farmaci (ad esempio lo spironolattone). Non esistono segni clinici “specifici” da ipercloremia.
La condizione opposta viene definita ipocloremia ed è dovuta o a perdita effettiva di ioni Cl- a livello gastro-enterico (vomito, diarrea), renale (uso di diuretici), in corso di acidosi respiratoria cronica, iperadrenocorticismo, terapie con glucocorticoidi o, ancora, per eccessiva assunzione di sostanza contenenti sodio.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Dr.Borgarello
 
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Epilessia nel Cane


L’epilessia nel cane si manifesta con delle crisi convulsive o crisi epilettiche (termini sovrapponibili), che si ripetono nel tempo con una frequenza variabile da soggetto a soggetto. La frequenza può variare da una crisi ogni 5 – 6 mesi fino ad alcune crisi al giorno.


Le crisi epilettiche sono dovute ad uno squilibrio a livello della corteccia cerebrale che determina la mancata inibizione di alcuni neuroni e il conseguente scatenarsi della crisi.


Nel cane possono riscontrarsi due tipi di epilessia: una forma di epilessia primaria e una forma di epilessia secondaria.

L’epilessia secondaria è solo la manifestazione di altre malattie, quindi risolvendo la malattia sottostante si pone fine alle crisi convulsive.

L’epilessia primaria è detta anche epilessia idiopatica, il termine idiopatico in medicina significa che non si conosce la causa e si giunge a questa diagnosi quando si sono escluse tutte le comuni cause di epilessia. In questo caso non posso risolvere il problema se non curando in modo continuativo l’epilessia.

In alcuni casi l’epilessia ha un origine genetica cioè viene trasmessa dai genitori: i genitori possono soffrire o aver sofferto della malattia o possono essere dei semplici portatori sani con geni che combinati tra di loro portano allo sviluppo della malattia.

Le crisi convulsive possono manifestarsi in diversi modi, la più diffusa è la crisi tonico clonica generalizzata in cui si possono riconoscere tre periodi:

1 un periodo prodromico cioè prima della crisi di durata variabile e a volte riconoscibile, alcuni proprietari riescono ad accorgersi che il cane avrà una crisi epilettica.
2 la crisi in cui il cane si irrigidisce, perde coscienza e cade su un lato con dei movimenti convulsi con violente contrazioni dei muscoli di tutto il corpo. Durante la crisi il cane può perdere urine e feci o mostrare ipersalivazione; la crisi di solito non dura più di due o tre minuti. Le crisi possono manifestarsi anche come crisi minori o parziali in cui le contrazioni interessano solo una parte del corpo, in cui la coscienza può essere o meno mantenuta.
3 il periodo post ictale ossia dopo la crisi in cui il soggetto può manifestare atteggiamenti diversi e che possono avere una durata variabile. Alcuni soggetti manifestano abbattimento o stanchezza altri aumento dell’appetito.


Nelle crisi totali generalmente il cane non è cosciente, nelle crisi parziali lo stato mentale del cane può essere normale o solo lievemente alterato.

L’iter diagnostico da seguire in caso di crisi convulsive dipende da molti fattori e va adeguato caso per caso, può comprendere tutte o solo alcune delle seguenti voci:

esame emocromocitometrico

esame biochimico

elettroliti

acidi biliari

ammoniemia

esame completo delle urine

radiografia del torace

elettrocardiografia

ecocardiografia

ed in alcuni casi può essere indicata la risonanza magnetica.
 
Solo con un approccio schematico e finalizzato si potrà giungere ad una corretta diagnosi e conseguente terapia.

Per quanto riguarda la terapia bisogna ricordare che sporadiche crisi durante l’anno (1 o 2) generalmente non vengono trattate, per un numero maggiore di crisi è bene valutare l’inizio di una terapia anticonvulsivante ma sempre e solo dopo aver eseguito un approfondito screening diagnostico.

I farmaci su cui si basano le terapie in medicina veterinaria non sono del tutto sovrapponibili a quelli di umana: alcuni farmaci che funzionano bene nell’uomo non servono nel cane per diversi motivi: inefficacia, tempo di emivita troppi breve ecc.
 
I principi farmacologici storicamente più utilizzati per trattare l’epilessia nel cane sono i barbiturici ed il bromuro di potassio: vanno impiegati sotto stretto controllo veterinario e bisogna avere l’accortezza di non variarne da soli la posologia. Ultimamente si è affiancato un farmaco specifico per il cane la Imepitoina.

Fenobarbitale: si utilizza a 2,5-3,5 mg/kg ogni 12 ore, in genere impiega un paio di settimane per stabilizzarsi a livello ematico, dopo una ventina di giorni è necessario effettuare una barbituremia (controllo del livello ematico di barbiturico) per eventualmente variare il dosaggio del farmaco. Gli effetti collaterali dei barbiturici comprendono poliuria, polidipsia e polifagia. Nei soggetti con problemi epatici è necessario prestare molta attenzione al loro impioego.

Bromuro di Potassio: viene utilizzato a dosaggi di 20-30 mg/kg al fine di ottenere una bromuremia variabile tra 2 e 3 mg/ml. Il tempo di emivita del bromuro è di 28 giorni e sono necessari alcuni mesi per raggiungere un livello ematico costante. Raramente può provocare atassia, sedazione, vomito, polifagia, poliuria. Utilizzare con attenzione nei pazienti con problemi renali.

Imepitoina: viene utilizzata ad un dosaggio di 10-20 mg/kg, esiste in due formulazioni compresse da 100 mg e compresse da 400 mg. Come farmaco antiepilettico è l’ultimo arrivato in medicina veterinaria.

Lo scopo della terapia è quello di distanziare le crisi il più pèossibile senza alterare lo stato mentale del paziente: no sedazione, no abbattimento, no debolezza ecc..

A tutte le terapie generalmente si associa qualche farmaco a breve durata di azione da utilizzare nel momento della crisi: molti utilizzano il diazepam per via rettale a dosaggio variabile.

Uno dei cardini della terapia è non modificare il dosaggio dei farmaci senza una precisa indicazione del veterinario: molto spesso prima di variare un dosaggio è necessario valutare la concentrazione ematica del principio attivo.


Articolo a cura  della Clinica Veterinaria Borgarello

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lunedì 28 aprile 2014

Pulci e Zecche


Pulci e zecche sono gli ectoparassiti del cane e del gatto più comuni, e trasmettono ai nostri animali domestici malattie potenzialmente fatali o che possono comprometterne la qualità della vita. Sono le malattie trasmesse da vettori note come VDB, ovvero Vector – Born Diseases.


Alcune tra queste infezioni possiedono inoltre un potenziale zoonotico, possono cioè provocare gravi malattie all'uomo. La maggior parte delle infezioni causate dagli agenti patogeni delle VDB sono persistenti; il cane può esserne portatore per mesi o addirittura anni prima che si manifestino i segni clinici. Inoltre il trattamento dell'animale è a volte solo palliativo, e in molti casi non si raggiunge la guarigione clinica.  La diffusione globale degli ectoparassiti e l'incremento della prevalenza delle malattie trasmesse da pulci e zecche sono principalmente associati ai cambiamenti climatici e ambientali, e al manifestarsi di una resistenza ai farmaci da parte dei vettori e degli agenti patogeni.


In quanto parassiti ematofagi, le pulci e le zecche penetrano la cute del loro ospite con le parti dell'apparato boccale adattate a succhiare il sangue, e mentre si nutrono iniettano la loro saliva, tramite la quale possono trasmettere agenti patogeni come virus, batteri e protozoi. La trasmissione di questi agenti patogeni può avvenire rapidamente dopo il morso del parassita e l'unico modo di proteggere gli animali domestici dalle VDB è usare un ectoparassita dotato di proprietà repellenti, che impediscono al parassita di alimentarsi, e di un rapido effetto abbattente.



MALATTIA


AGENTE PATOGENO


VETTORE


TEMPO DI TRASMISSIONE


Anaplasmosi granulocitica


Anaplasma phagocytophilium


Zecca


4 – 48 ore


Babesiosi canina


Babesia canis


Babesia vogeli


Theileria annae




Zecca




> 48 ore


Borreliosi o


Malattia di Lyme


Borrelia burgdoferi


Zecca


> 17 ore


Ehrlichiosi


Ehrlichia canis


Zecca


4 – 48 ore


Emobartonellosi


Mycoplasma haemocanis / haemofelis




Pulci e zecche




non confermato


Encefalite da morso di zecca


Flavivirus


Zecca


immediatamente



Sul mercato sono disponibili numerose opzioni di trattamento contro pulci e zecche, ma ognuna di queste presenta limiti specifici.


I prodotti spot-on sono tra i più utilizzati contro pulci e zecche, sono altamente efficaci e hanno un buon margine di sicurezza. Sono generalmente indicati per l'applicazione a intervalli mensili e la garanzia di una protezione adeguata dipende dall'uso regolare, al momento opportuno e in osservanza delle istruzioni riportate sull'etichetta dei proprietari di animali.


Prima dell'introduzione degli spot-on, i collari rappresentavano una delle principali scelte di trattamento. I collari in PVC (polivinilcloruro) furono sviluppati per la prima volta all'inizio degli anni Sessanta usando insetticidi organofosfati, e in seguito carbammati e piretroidi sintetici. Molti dei principi attivi utilizzati in principio nei collari tendono a essere meno potenti rispetto a quelli utilizzati nei prodotti spot-on; inoltre molti collari convenzionali hanno un odore sgradevole. La combinazione fra questi fattori aiuta a spiegare perché attualmente i vecchi collari non sono considerati la prima scelta quando si tratta della prevenzione di infestazioni da pulci e zecche.


Una delle ultime novità promosse da Bayer è per l'appunto Seresto, un innovativo collare per cani e gatti. Le sue caratteristiche differiscono molto da quelle dei collari insetticidi tradizionali, per esempio è idrorepellente e resistente all'acqua, tanto che ripetute immersioni in acqua del vostro animale non diminuirebbero l'efficacia di otto mesi contro le zecche. E' realizzato con una matrice polimerica inodore che offre proprietà insetticide e acaricide grazie all'uso di due principi attivi associati: imidacloprid e flumetrina. Si può utilizzare su cuccioli a partire da 7 settimane di età e su gattini da 10 settimane di età. Ha un'efficacia che dura fino a 8 mesi. E' particolarmente efficace contro le pulci e le zecche del cane e del gatto, ne previene l'infestazione e impedisce lo sviluppo delle larve di pulce. E' indicato per il trattamento delle infestazioni da pidocchi pungitori/masticatori, ed è anche in grado di migliorare le infestazioni da Rogna Sarcoptica. In più un meccanismo di sganciamento di sicurezza e il punto di rottura predeterminato, permettono agli animali di liberarsi se rimangono intrappolati accidentalmente.


Un’alternativa alla proposta della Bayer è la linea degli antiparassitari naturali Beaphar. La nuova linea Protezione Naturale Beaphar offre una gamma completa di prodotti completamente naturali ed in grado di creare un vero e proprio scudo a difesa dell’animale e del suo habitat domestico. I principi attivi contenuti nei prodotti Beaphar sono tutti innocui per l’uomo, per gli animali domestici e per l’ambiente. L’azione sinergica del Piretro unito all’estratto di Margosa (principi presenti nei prodotti antiparassitari della linea Beaphar) garantisce ai nostri amici animali una protezione efficace e sicura.

Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello
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Difetti del Setto Interventricolare

I difetti del setto interventricolare (DIV) rappresentano un'anomalia cardiaca congenita relativamente comune nei cani. La malformazione può interessare tutte le razze di cani, ma sembra comunque essere più frequente nei Pastori tedeschi, nei Bulldog, negli Shi Tzu e nel Pastore Maremmano.

Fisiopatologia
Nella maggior parte dei casi i difetti interventricolari isolati sono localizzati nella parte alta dei ventricoli, nel setto membranoso o ancor più in alto sotto la valvola polmonare.
La comunicazione tra i ventricoli determina un passaggio di sangue da sinistra a destra che sarà proporzionale alle dimensioni del difetto e al gradiente di pressione esistente fra i due ventricoli. Piccoli difetti determinano il passaggio di piccole quantità di sangue le quali spesso non determinano gravi alterazioni dell'assetto emodinamico dell'animale.
Difetti di dimensioni più ampie possono provocare aumenti del carico pressorio ventricolare destro e diastolico ventricolare sinistro, questo risulta in sovraccarico del circolo polmonare con ingrandimento dell'atrio e del ventricolo sinistri e dei vasi polmonari.

Caratteristiche cliniche La sintomatologia è estremamente variabile in funzione dei danni emodinamici che si verificano.
Alcuni soggetti con difetti molto piccoli possono rimanere asintomatici per molto tempo o addirittura si possono avere chiusure spontanee del difetto entro i primi mesi di vita.
Altri sviluppano in giovane età il quadro di un grave sovraccarico diastolico sinistro.
Il reperto auscultatorio è caratterizzato da un soffio che presenta la sua massima intensità leggermente ventralmente rispetto al focolaio aortico e si irradia attraverso il torace con una irradiazione cosiddetta a “barra”rendendosi ben apprezzabile all'altezza del focolaio tricuspidale.
L'elettrocardiogramma può risultare normale nelle forme lievi, dimostrare ingrandimento atriale e ventricolare sinistro nelle forme classiche scompensate.
La radiologia del torace può mettere in evidenza segni di ingrandimento atriale e ventricolare sinistro con sovraccarico del circolo polmonare con ingrandimento delle arterie e delle vene polmonari prossimali più o meno evidente a seconda della quantità di sangue che passa attraverso lo shunt.
Nelle proiezioni sagittali è ancora meglio valutabile lo stato dei vasi polmonari periferici.
L'esame ecocardiografico bidimensionale può consentire di evidenziare le soluzioni di continuo del setto interventricolare e di definirne la localizzazione anatomica.
I difetti sotto i 2 mm possono spesso fuggire all'osservazione dell'esame bidimensionale cosi da aversi dei falsi negativi come falsi positivi si possono diagnosticare esaminando soggetti con setto muscolare ipertrofico e setto membranoso sottile.
L'eco Doppler a codice di colore con le sue notevoli capacità di risoluzione è talvolta in grado di mettere in evidenzia difetti non evidenziabili con l'esame bidimensionale. Inoltre il colore del flusso che passa attraverso il difetto è in grado di definire la direzione del flusso stesso e l'eventuale turbolenza attraverso esso.

Terapia I DIV piccoli sono ben tollerati e gli animali che ne sono affetti vivono vite normali.
La chiusura spontanea di un DIV si può verificare solamente durante i primi due anni di vita quale risultato di una ipertrofia ventricolare o della chiusura del difetto a causa di un lembo tricuspidale settale o di una valvola aortica che prolassa.
La terapia consiste nella chirurgia.
La chirurgia palliativa dei DIV può includere la correzione del difetto sotto bypass cardiopolmonare o bendaggio circonferenziale del tronco dell'arteria polmonare, per ridurre il volume dello shunt sinistra-destra. Il rischio chirurgico per il paziente e il disagio postoperatorio della toracotomia sono riducibili realizzando la riparazione con un approccio percutaneo.
Nel cane sono state riportate occlusioni mediante catetere di piccoli DIV usando spirali da embolizzazione rimovibili.

Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello 
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Ectropion nel Cane

L’ectropion è un difetto palpebrale che coinvolge solitamente la palpebra inferiore, mentre su quella superiore si può osservare solo in caso di ectropion cicatriziale. L’ectropion rappresenta la rotazione verso l’esterno del bordo palpebrale e comporta esposizione del tessuto congiuntivale, epifora, alterazione della distribuzione del film lacrimale e lagoftalmo.
                                  
L’ectropion è considerato primario ( o di sviluppo) in razze come:
SAN BERNARDO
BLOODHOUND
ALANO
BULL MASTIFF
MASTINO NAPOLETANO
BASSET HOUND
Inoltre, in queste razze spesso sono presenti altri difetti palpebrali quali macroblefaro e lassità del muscolo retrattore laterale.
La risoluzione del difetto è di tipo chirurgico. Esistono diverse tecniche chirurgiche: tecnica a cuneo, la tecnica di Kunt-Szymanosky, tecnica di Warton-Jones. In base al tipo di difetto palpebrale il chirurgo decide quale tipo di intervento effettuare.
A cura della Clinica Veterinaria Borgarello.
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Artrosi nel Cane: si può prevenirla?

L’artrosi è la patologia articolare del cane e del gatto più diffusa. L’osteoartrosi è un grave problema, e può colpire i cani di tutte le razze. Le articolazioni più frequentemente affette sono l’anca, il ginocchio e il gomito.

Scopriamo insieme cos’è:
E’ una malattia degenerativa delle articolazioni
E’ progressiva: continua a peggiorare
E’ molto dolorosa
E’ invalidante
Quali sono i cani più a rischio?
I cani di alcune razze
I cani con patologie articolari
I cani con problemi di peso
I cani che fanno molto sport

Come posso tutelare il mio cane prima che insorga?
E’ dimostrato che glucosamina e condroitinsolfato sono componenti base della matrice cartilaginea e contribuiscono al mantenimento della funzionalità e mobilità articolare, aiutando a rallentare la degenerazione cartilaginea sia nei cuccioli che nei cani adulti predisposti per razza, peso e tipo di attività.
Ci sono molti lavori in letteratura che dimostrano l’utilità dell’integrazione con questi principi attivi. Il beneficio ottenuto con cicli ripetuti di somministrazioni aiuta a ridurre la degenerazione articolare.
Solo i prodotti con questi componenti puri al 100% possono garantirne l’efficacia. Cosequin start ha questi principi attivi opportunamente dosati per agire efficacemente nella protezione preventiva delle cartilagini sia nei cuccioli che nei cani adulti.
Non aspettare che insorga il dolore inizia da subito la prevenzione con mezza compressa ogni 10 kg.
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Bastano pochi centesimi al giorno per proteggere il tuo cucciolo:
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello
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L’Occlusione dei Denti

Occlusione è il termine impiegato per descrivere il modo in cui i denti combaciano reciprocamente. La malocclusione è un'anomalia della posizione dei denti e può derivare da discrepanze della lunghezza o larghezza della mandibola, dall'errato posizionamento dei denti o da una combinazione di entrambi i fattori. La malocclusione è comune nel cane ma si verifica anche nel gatto, e dal punto di vista clinico può essere l'origine di un disturbo o anche di una sintomatologia algica.
In alcuni casi essa rappresenta la causa diretta di una grave patologia orale; di conseguenza è importante la diagnosi precoce di malocclusione, al fine di porre in atto tempestive misure preventive.
Le fasi di sviluppo dell'occlusione sono regolate da fattori genetici e ambientali, ed è risaputo che le seguenti conformazioni sono ereditarie:
  • lunghezza della mandibola
  • posizione della gemma dentale (nonostante diversi eventi nel corso dello sviluppo e della crescita possono influenzarne la collocazione definitiva)
  • dimensione del dente.
La malocclusione scheletrica può anche derivare da disordini ormonali, da traumi o da modifiche funzionali.
In caso di occlusione normale è la forma della testa a influenzare la posizione dei denti. Tra i nostri animali domestici esistono le seguenti conformazioni:
  • CANI e GATTI MESOCEFALICI: in cui la mandibola risulta più corta e meno ampia rispetto la mascella; per cui gli incisivi superiori sono posti più rostralmente rispetto a quelli inferiori. La diversità nel gatto sta nel fatto che non presenta denti con superfici masticatorie.
  • CANI e GATTI BRACHICEFILICI: presentano una mascella più corta del normale.
  • CANI e GATTI DOLICOCEFALICI: presentano una mascella più lunga del normale
Entrambe queste ultime due classi morfologiche mostrano un certo grado di malocclusione rispetto gli animali mesocefalici.
Le informazioni sull'occlusione si possono ottenere con l'esame obiettivo con il paziente vigile, così come evidenti anomalie macroscopiche. Si esamina dapprima la bocca mantenendo la mandibola chiusa con delicatezza e retraendo le labbra al fine di osservare i tessuti molli e la superficie buccale dei denti. In questo modo si possono osservare la simmetria della testa, la correzione degli incisivi, l'occlusione dei canini, l'allineamento dei premolari, l'occlusione dei premolari e dei molari distali, e infine la posizione di ciascun dente. Per un esame orale risolutivo è invece sempre necessario ricorrere all'anestesia generale.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello.
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Displasia dell’Anca: Sinfisiodesi Pubica

Iniziamo con questo articolo a parlare delle soluzioni terapeutiche che si possono adottare per contrastare l’insorgere della displasia dell’anca. Partiamo in ordine temporale con la crescita del cucciolo e iniziamo dalla sinfisiodesi pubica.
La sinfisiodesi è un intervento miniinvasivo introdotto da pochi anni nella pratica comune per contrastare la displasia nel cucciolo in una fase molto iniziale. Questa tecnica applicata in casi ben selezionati è in grado di correggere o limitare in maniera efficace lo sviluppo della displasia dell’anca. Eseguita in età precoce previene la degenerazione artrosica che consegue alla displasia.
In cosa consiste: l’obiettivo è quello di ottenere una riduzione dell’inclinazione del tetto acetabolare (l’angolo DAR di cui abbiamo già parlato). Questa rotazione degli acetaboli viene ottenuta in modo naturale durante la rimanente crescita del cucciolo. Tecnicamente è causata dalla spinta dei rami dell’ileo associata all’arresto di crescita dei rami del pube.
La rotazione dell’acetabolo determina una maggior copertura della testa femorale con aumento della stabilità articolare e minor tendenza alla sublussazione: chiare cause di sviluppo della displasia (come spiegato in questo articolo).
L’intervento di sinfisiodesi come tutti gli altri interventi effettuati sui cuccioli per correggere o rallentare la displasia presuppone l’esclusione del cane (maschio o femmina) dalla riproduzione. L’intervento modifica la manifestazione della displasia (il fenotipo) rendendo il soggetto a volte completamente esente, ma non altera il suo DNA per cui continua ad essere un portatore del carattere.
La sinfisiodesi pubica, anche per questo motivo, non può essere eseguita in maniera indiscriminata in ogni cucciolo che presenti segni iniziali di displasia; occorre una rigorosa selezione del paziente. I pazienti con forme lievi in cui potrebbe bastare una terapia medico/conservativa e i soggetti con displasia troppo grave non sono dei candidati per questo intervento.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello.
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Lussazione Rotulea: la Chirurgia


Continuiamo a parlare di lussazione della rotula e iniziamo a prendere in considerazione quelli che sono gli interventi chirurgici che possono aiutarci nella risoluzione del problema.


Oggi prenderemo in esame la serie di chirurgie che mirano a ridurre la lassità della rotula e mirano ad impedirne la lussazione agendo sui tessuti molli articolari e periarticolari.


Come già ampiamente discusso le tecniche chirurgiche vanno valutate caso per caso e molto spesso ci sarà un a associazione di diverse tecniche.
La prognosi degli interventi è generalmente da buona ad ottima nelle lussazioni rotulee di grado minore (primo e secondo grado), mentre è da discreta a buona nelle lussazioni di terzo e quarto grado.


Le tecniche ricostruttive dei tessuti molli che vedremo dopo se utilizzate da sole vanno limitate a lussazioni rotulee minori e su cani di piccola taglia: la sottostima della gravità della lussazione non può che portare ad un insuccesso soprattutto in cani di taglia grande. 

Embricatura del retinacolo mediale o laterale: questa tecnica chirurgica può essere realizzata sia per la lussazione rotulea mediale che per la lussazione rotulea laterale. Consiste nell’incisione della fascia che forma il retinacolo e la capsula articolare con una conseguente doppia sutura tale da determinare una embricatura con sovrapposizione della parte eccedente di questo tessuto. Deve essere eseguita dalla parte laterale se la lussazione è mediale e dalla parte mediale se la lussazione è laterale.
Tecnicamente dopo aver inciso la capsula ad alcuni millimetri dalla rotula si sutura il margine vicino alla rotula a livello della parte più laterale del fornice della capsula articolare, il margine diventato libero lateralmente viene trasposto sopra il tessuto suturato e fissato vicino alla rotula.
Questa tecnica può essere associata alla sutura antirotazionale a tirante tra tibia e rotula.

Sovrapposizione della fascia lata: questa tecnica è applicabile solo in caso di lussazione mediale, si determina stabilità suturando il margine del bicipite femorale con l’aponeurosi che è presente tra il vasto laterale ed il retto femorale. La fascia lata viene sovrapposta per conferire meggior stabilità. Questa tecnica raramente viene utilizzata da sola perché non aumenta gran che la stabilità rotulea.

Sutura antirotazionale a tirante tra tibia e rotula: si crea un legamento rotuleo laterale con una sutura non riassorbibile che limita lo scarrocciamento della rotula. La sutura viene fissata caudalmente a livello della fabella laterale se la lussazione rotulea è mediale, a quella mediale in caso contrario. Le suture vengono poi fissate o a livello del tubercolo tibiale, del legamento rotuleo distale o fatte passare intorno alla rotula. Questa tecnica viene indicata in associazione alla plastica trocleare. Nell’apporre le suture bisogna valutare attentamente il punto di inserimento perché la rotula cambia posizione durante la flesso estensione e determinerà quindi un maggior carico a livello della sutura. Si è visto che con il passare del tempo molte volte le suture si allentano o si rompono ma il tessuto fibroso creatosi intorno al filo ed il riallineamento dei tessuti molli fanno sì che la funzionalità sia mantenuta.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello 

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Dotto Arterioso Pervio (PDA) nel Cane

In questo articolo parleremo di un’altra diffusa cardiopatia congenita nel cane, il dotto arterioso persistente detto anche dotto arterioso pervio o di Botallo.
Il dotto arterioso di Botallo rappresenta la connessione fra l’arteria polmonare e l’aorta, attraverso la quale gran parte del sangue venoso che giunge all’arteria polmonare passa nell’aorta discendente. Nei primi due tre giorni di vita il dotto arterioso pervio si chiude. Quando il dotto rimane pervio, si verifica uno shunt da sinistra a destra che causa un sovraccarico di volume polmonare e cardiaco sinistro.
Il PDA è la più comune cardiopatia congenita nel cane ed è prevalentemente osservato nel Barbone , nel Collie, nel Pomerania, nel Pastore dello Shetland, nel Cocker Spaniels, nello Yorkshire Terrier, nel Maltese, nel Setter Irlandese e nel Pastore Tedesco.
Le femmine sembrano essere più predisposte dei maschi. Il PDA è stato segnalato anche nei gatti.
Nelle forme più comuni lo shunt avviene tra l’aorta e l’arteria polmonare. La quota di sangue che passa attraverso il dotto è proporzionale alle dimensioni dello stesso e alle resistenze polmonari. Il passaggio di sangue dall’aorta all’arteria polmonare determina un iperafflusso al circolo arterioso polmonare, che induce a sua volta un sovraccarico diastolico dell’atrio e del ventricolo sinistro. Questo determina l’ingrandimento di queste due camere cardiache e l’ipertensione polmonare.
Caratteristiche cliniche La gravità dei soggetti affetti da PDA varia in funzione della quota di sangue che passa attraverso lo shunt.
I reperti classici dell’esame obiettivo nel PDA sono i polsi arteriosi ipercinetici, il soffio cosiddetto “ a rumore di locomotiva “ continuo a livello dell’ascella e la colorazione rosea delle mucose.
Il polso femorale si definisce ampio, saltellante o rimbalzante, per la rapida riduzione della pressione diastolica dovuta al flusso di sangue attraverso il PDA e per l’aumento della pressione sistolica legata all’aumentato ritorno venoso al cuore sinistro.
Le alterazioni radiografiche riflettono il sovraccarico volumetrico. In quasi tutti i casi di PDA nei radiogrammi del torace sono evidenti segni di congestione venosa polmonare, caratterizzati da un’aumentata radiopacità degli spazi peribroncovascolari, da una dilatazione dell’arco aortico e dell’arteria polmonare principale particolarmente evidente nelle proiezioni dorso-ventrali. All’esame della silhouette cardiaca si apprezza un ingrandimento dell’atrio e del ventricolo sinistro particolarmente evidente nelle proiezioni latero.laterali.
L’alterazione più frequente dell’elettrocardiogramma é la presenza di onde R grandi nella seconda derivazione a causa di un ingrandimento ventricolare sinistro. Nelle forme più gravi e in quelle avanzate si possono riscontrare aritmie importanti, quali extrasistoli ventricolari, sopraventricolari e fibrillazione atriale.
L’esame ecocardiografico consente di apprezzare tutte quelle modificazioni strutturali e dinamiche del cuore e dei grossi vasi conseguenti alla persistente pervietà del dotto arterioso.
La presenza di un flusso retrogrado continuo e turbolento a livello dell’arteria polmonare principale è caratteristico del PDA. Il dotto è visibile nella proiezione parasternale destra trasversale e nella parasternale sinistra craniale, come uno spazio ipoecogeno situato tra l’ arteria polmonare principale e l’aorta. Abitualmente la migliore immagine si ottiene nella proiezione parasternale sinistra craniale.
Terapia I pazienti con PDA, se non si corregge il difetto, sviluppano insufficienza cardiaca congestizia e presentano un tasso di mortalità superiore al 60% durante il primo anno di vita. In qualche occasione i segni clinici non si rendono evidenti fino alla maturità ma nella maggior parte dei casi si manifestano entro il terzo anno di vita. Circa la metà dei cani con PDA e con un’età superiore all’anno, presentano tosse, collasso, intolleranza all’esercizio, letargia e dispnea.
Il trattamento chirurgico è l’unico mezzo effettivo di trattare un PDA con shunt sinistro-destro. Negli ultimi anni il cateterismo cardiaco e l’approccio percutaneo delle tecniche mini-invasive, hanno soppiantato la chirurgia tradizionale per il trattamento della maggior parte dei pazienti con PDA.
L’occlusione transcatetere del PDA fornisce un’alternativa minimamente invasiva alla legatura chirurgica a cielo aperto, evitando la necessità di effettuare la toracotomia con la relativa morbilità chirurgica.

Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello
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Displasia dell’Anca nel Cane: Terapia Medica del Cucciolo

Questa volta affrontiamo un argomento molto dibattuto e controverso: la terapia medica conservativa nella displasia del cucciolo. 
  
Cosa si intende e quando vanno utilizzate queste terapie?
Nei cuccioli possiamo trovarci di fronte a quadri estremamente differenti e ognuno di essi va valutato nel complesso: età, razza, sesso, sintomi, rilievi radiografici e clinici ecc..
L’utilizzo della terapia medica può essere utilizzato quando non ci sono le indicazioni per un approccio chirurgico oppure quando prima dell’approccio chirurgico si vuole rivalutare a breve distanza di tempo il cucciolo.
Sono terapie multi modali e per avere successo vanno attuate con attenzione dal proprietario.
Le cure mirano da una parte a rimuovere tutte quelle componenti (viste in questo articolo) che favoriscono l’espressione fenotipica della displasia e dall’altra si avvalgono di presidi medici per ridurre l’infiammazione e rinforzare le cartilagini.
Vediamo insieme tutti i punti:
Riduzione del peso: una delle cause che maggiormente incidono su un alterato sviluppo del cucciolo è sicuramente il sovrappeso. Esistono delle razze che sono più predisposte all’obesità e altre meno. Se il vostro cucciolo fa parte di queste è bene prestare molta attenzione. I primi segno di sovrappeso sono rappresentati da depositi adiposi visibili sulle costole e sulle vertebre lombari ed il giro vita inizia a  essere scarsamente apprezzabile.
displasia-cane 
Controllo dell’esercizio fisico: altro punto molto importante è il controllo dell’esercizio fisico che da una parte deve stimolare uno sviluppo muscolare corretto e dall’altra non sollecitare in modo anomalo le articolazioni. Un cane in sovrappeso che salta dal mattino alla sera determina una eccessiva sollecitazione alle capsule articolari. In caso di terapia conservativa è indicata una limitazione dello spazio a disposizione e delle belle passeggiate al guinzaglio.
Controllo degli integratori alimentari: oramai da anni si è appreso che un eccesso di integrazione con vitamine e sali minerali è dannoso.
Alimentazione bilanciata: in questa fase della vita del cucciolo è molto importante utilizzare un alimentazione bilanciata, il mio consiglio è quello di utilizzare alimenti per cuccioli specifici per la taglia. L’alimentazione casalinga, per quanto allettante, non è in grado di fornire una pari qualità.

Condroprotezione: è dimostrato che glucosamina e condroitinsolfato sono componenti base della matrice cartilaginea e contribuiscono al mantenimento della funzionalità e mobilità articolare, aiutando a rallentare la degenerazione cartilaginea sia nei cuccioli che nei cani adulti predisposti per razza, peso e tipo di attività. Ci sono molti lavori in letteratura che dimostrano l’utilità dell’integrazione con questi principi attivi. Il beneficio ottenuto con cicli ripetuti di somministrazioni aiuta a ridurre la degenerazione articolare.
Antiinfiammatori: l’utilizzo di FANS deve essere limitato a quei cuccioli con una sintomatologia algica da gestire e vanno limitati a brevi periodi.
Cerchiamo di capire insieme quali sono i cuccioli che possono rientrare in questa categoria terapeutica: tendenzialmente tutti quei cuccioli che non presentano le indicazioni per un approccio chirurgico ma hanno un eccesso di lassità articolare oppure cuccioli che pur presentando già le indicazioni per un trattamento chirurgico si vogliano rivalutare dopo un breve periodo 30- 40 giorni per valutare gli effetti della terapia conservativa.
Un cardine fondamentale per attuare queste terapie è la diagnosi estremamente precoce, se si sottopongono ad esame soggetti di 7 – 8 mesi è ormai tardi per farli rientrare in questi protocolli.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello.
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Shock Cardiogeno nel Cane

Lo shock cardiogeno appartiene alla categoria dello shock ad elevata pressione di riempimento ventricolare.
L’insufficienza sistolica e le aritmie sono le cause più comuni, mentre un impedimento al riempimento ventricolare per patologie pericardiche o un’ostruzione anatomica (sindrome della vena cava, neoplasie o trombi endocavitari) si manifestano meno frequentemente.
Lo shock cardiogeno è suddiviso in due forme: ipocontrattile e ostruttivo.
Lo shock cardiogeno ipocontrattile nel gatto è legato a miocardiopatia dilatativa o ipertrofica in fase ischemica e a cardiomiopatia da doxorubicina; nel cane è legato prevalentemente ad un’insufficienza miocardica associata a patologie determinanti un sovraccarico cronico di volume e a miocardiopatia dilatativa, specialmente se complicata da tachiaritmie.
Lo shock cardiogeno è esacerbato da aritmie, farmaci inotropi negativi o da un’eccessiva deplezione del volume intravascolare per assunzione di diuretici.
Lo shock cardiogeno ostruttivo è determinato prevalentemente da tamponamento cardiaco, da neoplasie cardiache determinanti versamento pericardico o da ostruzione all’eiezione come nell’ipertensione polmonare , nel tromboembolismo polmonare, nelle forme ostruttive di cardiomiopatia ipertrofica, nella sindrome della vena cava e nei trombi o nelle neoplasie endocavitarie.
Lo shock cardiogeno può essere suddiviso in tre stadi:
1° ipotensione compensata , tachicardia compensatoria, ridistribuzione circolo (cuore, cervello)
2° ipotensione scompensata, pressione arteriosa sistolica < 80 mmHg, comparsa segni bassa portata cardiaca
3° shock irreversibile, ipoperfusione prolungata.
I segni clinici dello shock cardiogeno sono quelli classici secondari a bassa portata cardiaca e includono: collasso o debolezza, spesso in associazione a dispnea.
Alla visita clinica sono presenti: ipotermia, estremità fredde, tachicardia, polso ipocinetico, alternante e spesso deficitario, mucose pallide e TRC rallentato, talvolta tachipnea con dispnea e respiro superficiale, livello di coscienza normale con depressione del sensorio o stato comatoso, pressione arteriosa sistemica da normale a diminuita a seconda dello stadio.
Per la diagnosi oltre ai segni clinici, gli esami strumentali definiscono la patologia scatenante ed includono: gli esami di laboratorio ( PVC, proteine totali, funzionalità renale, ect.), l’esame elettrocardiografico ( eventuale presenza di aritmie ) e radiografico forniscono valide informazioni ( cardiomegalia, segni radiografici di ipovolemia, edema polmonare ).
TERAPIA
Gli scopi della terapia includono il miglioramento della performance cardiaca, di massimizzare il flusso caronario, di migliorare la perfusione sistemica, di ridurre il lavoro del miocardio con sostanze inotrope positive.
Le sostanze inotrope utilizzate sono la dobutamina e dopamina, due amine simpatico-mimetiche. La dobutamina aumenta la contrattilità cardiaca, è meglio indicata in pazienti con depressione della gittata cardiaca associata ad un’ipotensione lieve o moderata, soprattutto quando sono presenti tachicardia sinusale o aritmie ventricolari. La dopamina è preferita nei pazienti che richiedono sia un effetto sulla pressione che un supporto inotropo, in assenza, però, di aritmie ventricolari o di grave tachicardia sinusale.
In presenza di grave edema polmonare è indicata anche una terapia con diuretici, da utilizzare a bassi dosaggi in associazione agli inotropi positivi e con controllo pressione arteriosa. Se sono presenti versamento pleurico o pericardico sono indicate toracocentesi e pericardiocentesi. Se lo shock è accompagnato da una grave insufficienza cardiaca congestizia si possono utilizzare anche vasodilatatori per ridurre il lavoro ventricolare e le pressioni di riempimento cardiache. E’ necessario uno stretto monitoraggio pressorio per un eventuale effetto ipotensivo, soprattutto quando la perfusione sistemica è realmente compromessa.
La terapia con sostanze inotrope positive dovrebbe essere preceduta da una fluidoterapia endovenosa o effettuata contemporaneamente.
La fluidoterapia tradizionale è costituita da soluzioni povere di sodio con integrazione di potassio e di magnesio.
Articolo a cura della  Clinica Veterinaria Borgarello
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